Il template del mio primo blog me
lo ero fatto io, studiando da autodidatta i rudimenti dell’HTML. Un
apprendistato che oggi mi rivendo benissimo ogni qualvolta si debba preparare
la newsletter aziendale.
Non esistevano i social né i selfie, solo
qualcuna più troietta delle altre si faceva gli autoscatti per Badoo. Stilavo frivole wishlist piene zeppe di
azzurrini e di jeans a zampa in un mondo di lilla, pantaloni skinny e commesse
che quasi mi ridevano in faccia in negozio [stolte,
la storia mi ha dato ragione. Orsù, datemi retta signore, compratevi le Cortez].
Se mi capitava di rimanere alzata
la sera a scrivere, i miei genitori si allarmavano pensandomi vittima d’ogni
sedicente cybermaniaco.
Al blog avevo affidato le ansie
della maturità prima, le incertezze su quale università scegliere poi. Testimoniava il lungo snocciolarsi di esami,
paure, successi fino all’happy ending della
mia prima laurea, quando avevo ancora i capelli lunghi e un tubino in tinta con
la tesi, bordeaux (perché ancora non si
diceva burgudy).
Poi eccomi a questa domenica di dicembre, con la nebbia che incalza
alle finestre e il bagaglio di quello che sono diventata.
Perché riaprire un blog? Di cosa potrei scrivere?
Non ho ricette da inventare, sarei
in grado al massimo di suggerire i tempi di cottura per non far bruciare i
petti di pollo o la zucca al forno. Vesto normale, con la canotta della salute
da giugno a settembre e il gambaletto, perché vado a lavorare in bici e non ce
la faccio ad affrontare lo spiffero alla caviglia.
Oggi ho Instagram, su un cellulare che fa foto di merda.
Oggi la letteratura è rimasta un substrato latente che s’indovina nella pila di libri accumulati sul comodino tra un ritorno a casa e una partenza, nell’ostinazione di voler infilare il Conte di Montecristo nella borsa a mano.
Fateci caso, quante cose amiamo, che già sono nel limbo della perdita. Quando il
tempo consuma e delle connessioni rimane
una lacrima di ragnatela.
Allora, capiamo. Le passioni diventano amori e
gli amori diventano parte di noi.
Allora, cementifichiamo i mattoni del nostro
essere.
Scrivo perché sono io, sono io
perché scrivo, ed ho bisogno di ricordarmelo nella mia esistenza arruffata.