venerdì 29 dicembre 2017

Cronache dal comodino: la mia Best Nine 2017

Sulla falsariga degli imperversanti best nine, la mia selezione di nove libri per il 2017.


1.       Il libro giusto al momento giusto: G. Romagnoli, Solo bagaglio a mano
2.       Miglior raccolta (se così si può chiamare) G. Dyer, Sabbie Bianche
3.       Il grande classico – che non avevo ancora letto: A. Camus,  La Peste
4.       Libro sulle isole: F. Longo, Il mare di pietra
5.       Libro di fotografia: E. Sottsass, Metafore
6.       Categoria “m’innamorai”: C. Rovelli, Sette brevi lezioni di fisica e L'ordine del tempo
7.       Il miglior acquisto casuale: A. Goes, Una notte inquieta
8.       Migliore libro sull’Odissea: L. Malerba, Itaca per sempre
9.       L’imperdonabile lacuna: D.F. Wallace, Una cosa divertente che non farò mai più

E. Sottsass, Metafore
La sua Valentine, rossa con la custodia originale, è stato il regalo più bello della mia nonna: “Da grande devi scrivere” – mi diceva con quella cieca fiducia che solo l’amore delle nonne ha. Poi di Ettore ho amato, letto e postillato la strampalata autobiografia Scritto di notte, che con quel finale da pelle d’oca rientra a buon diritto tra i miei libri del cuore. 
Ma ignoravo il Sottsass fotografo, una delle più belle scoperte del 2017 (insieme, ovviamente, alla pazzesca Elena Braghieri che me l’ha fatto scoprire, in un intenso contrabbando libresco in vista della mostra in Triennale).
 Se Scritto di notte è il racconto di un’esistenza, Metafore è una dichiarazione d'amore per immagini: all'ironia, alla sovversione, alla poesia.



G. Romagnoli, Solo bagaglio a mano
Recensione che ha accompagnato il consiglio d' acquisto: “è un po’ uno scrittoredemmerdadevanitifer”. A tratti banalotto e con qualche vertice di lirismo da best seller d’autogrill, aggiungerei.
Però, in quest’anno è stato il libro giusto al momento giusto.
Perché nella sua leggerezza, ci parla della leggerezza. E c’azzecca, e non consola ma anzi pungola e alla fine riconcilia con una delle operazioni più difficili per noi umani: lasciare andare. Che non è una questione di (solo) bagaglio.
[Avvertenza: Magari non fate come la sottoscritta che, a luglio, si è fatta prendere un po’ troppo la mano nel repulisti dell’armadio. Salvo poi arrivare alle piogge di ottobre in sandali].

[…]e uscirmene di casa adesso, i lampioni di via Nazionale come quelli di Parigi, città e incontri che si sovrappongono, New York oltre Beirut, il cuore senza pesi, il sonno soave di un gatto, nessuno che bussa alla porta dei miei sogni, domani come una promessa che si ripete con infinita dolcezza, e attraversare la notte senza malinconia. Lo faccio, sto per farlo.  Perché non vieni con me?


G. Dyer, Sabbie Bianche 
Amo leggere racconti specialmente in vacanza, al punto che quest’anno avevo con me ben tre raccolte. Tra tutte, voto il volume di Geoff Dyer, che riunisce reportage ed essay scritti nel corso di diversi viaggi: «è lo spazio vuoto sulla cartina del suo autore».
Senza mai perdere il suo brillante humor inglese (leggendo ho pianto, ma anche riso di gusto, molto) Dyer fa di ogni spostamento geografico l’occasione per tendere verso qualcosa d’altro, qualcosa che possa spiegare l’inspiegabile: muoversi sul mappamondo è muoversi alla ricerca di quello che stiamo cercando, ma non riusciamo mai a trovare.
Perché mai? – quale legge dell’appena possibile lo decretava? – situazioni simili nascevano soltanto la notte prima della partenza, cosi che invece di svegliarmi e addormentarmi insieme a lei, invece di passare la giornata insieme a lei, invece di fare colazione e passare la giornata con lei per conoscerla meglio, nel giro di poche ore sarei salito su un aeroplano partendo con un rimpianto ancora più grande perché, invece di esserci lasciati sfuggire totalmente l’occasione, l’avremmo vissuta quel tanto che ci bastava per farci capire  quanto ci era sfuggito non essendocela lasciata sfuggire del tutto?
L. Malerba, Itaca per sempre
Malerba è l’aedo dell’inquietudine. I suoi personaggi sono lontani dalle granitiche certezze dei loro predecessori omerici: la moglie fedele che aspetta il marito tessendo la tela, il pater familias sovrano che, alla fine, ritorna dal suo regno e dalla sua donna. Sono antieroi, umani, troppo umani, che si dibattono tra il desiderio e l’angoscia che i loro sentimenti siano stati traditi: attraverso i pensieri contrapposti di Penelope e Ulisse prende forma l’epos del dubbio, e il dolore del ritorno  è la paura di non riconoscersi più.
Dopo tante finzioni e travestimenti eravamo tutti e due nudi sul letto e questa era l’unica verità alla quale mi aggrappavo come un naufrago a uno scoglio. Avevo rischiato di naufragare nella mia Itaca e ora finalmente ero in salvo, anche se coperto di ferite.
A Goes, Una notte inquieta
Acquisto inaspettato a uno stand della Marcos y Marcos. Chiacchieravo con il commesso:
 “Sono una grande fan di Lemebel”
“E allora devi leggere questo, ti piacerà”
Aveva ragione il ragazzo: mi è piaciuto, moltissimo. 

All’inizio non capivo dove fosse il nesso tra i due scrittori e i due romanzi, geograficamente e culturalmente agli antipodi: siamo nella Germania cupa in piena Seconda Guerra Mondiale, e invece dell’esuberanza delle fate transessuali di Santiago del Cile c’è un pastore protestante che deve dare l’estrema assoluzione a un disertore condannato a morte. Però ho ritrovato la stessa, mai esplicitata eppur potentissima, critica della tirannia: la bruta ferocia degli alti gradi tedeschi ormai consapevoli della sconfitta li fa assomigliare a quel Pinochet, spietato dittatore che si caga addosso durante l’attentato alla sua auto nel romanzo di Lemebel.  Contro questa bestiale follia, l’unica possibilità di salvezza è un incondizionato atto di fede nelle azioni che ridiano l'umanità all’uomo, quello stesso modo di sentire il tempo.

Dunque è così: pensa Brentano. E Melanie: dunque avrebbe potuto essere cosi, per tutta una vita. E tutti e due: ma una volta lo è stato. Qualche volta.  E l’ultima volta è ora, a Proskurov nella notte. E poi: è ancora.

C. Rovelli, Sette brevi lezioni di fisica e L'ordine del tempo
Sono andata al contrario: ho iniziato comprando a caso L’ordine del tempo (fortunosamente acquistato nello sconfortante panorama della libreria dell’aeroporto di Cagliari), e, affascinata – io, umanista digiuna di fisica dalla terza prova della maturità, sono corsa a recuperare le Sette brevi lezioni. Nella prosa rigorosa eppur soave del fisico Rovelli si realizza il “Ménage à trois tra letteratura scienza e filosofia” auspicato da Calvino.  Con forme e modalità diverse, l’uomo si interroga, laddove essere umani è questo: vivere sull’orlo del conoscibile.
Come il cosmo, ci definiamo attraverso l’iterazione, continua, con l’altro da noi, sia esso un cielo stellato o il sorriso di una ragazza in una festa d’estate: siamo connessione, memoria, nostalgia.
Siamo frontiera.  

Questo ti auguro per il 2018: essere frontiera.
Brillare sul bordo della bellezza e dei misteri che ancora non sai.

Ci sono frontiere, dove stiamo imparando, e brucia il nostro desiderio di sapere. Sono nelle profondità più minute del tessuto dello spazio, nelle origini del cosmo, nella natura del tempo, nel fato dei buchi neri, e nel funzionamento del nostro stesso pensiero. Qui, sul bordo di quello che sappiamo, a contatto con l'oceano di quanto non sappiamo, brillano il mistero del mondo, la bellezza del mondo, e ci lasciano senza fiato

martedì 19 settembre 2017

Storia di un rossetto ritrovato. [Di una perfezione perduta]



Da tutta l'estate cercavo il mio unico rossetto rosso, un'edizione limitata di Mac, messo rarissimamente.
 Non che sia una fan del rossetto, ma mi piace usarlo, quando sono particolarmente di buon umore, e altrettanto mi piaceva quel colore adesso fuori produzione.
Lo davo ormai per disperso, finito chissà dove durante il trasloco o nel travaso di qualche valigia.
L'ho ritrovato stasera, dove era più logico che fosse: riposto con cura nel taschino interno di una borsa che detesto e - in effetti- non ho più messo.
Eh niente, pensavo, che bello sarebbe riprendere in mano tutte le cose là, allo stesso punto dove le avevamo lasciate. Riannodare gli strappi, ritornare ai rivoluzionari istanti prima delle rivoluzioni fallite. 
 Come se ci stessero ancora aspettando, tra la crema travel size e il carnet del tram, le nostre perfezioni perdute - Lo vedi? Quel punto di rosso, là, preciso, intonso dagli avvenimenti del frattanto.


 C’è sempre una perfezione che viene perduta. C’è sempre un incantesimo che non si trova più. Come quando raccogliamo i lamponi nel bosco la mattina presto. Si continua ad abbandonare qualcosa, si continua a dire addio. Il problema, forse, è cercare di inventare nuove perfezioni, pensare che ogni momento è una perfezione che comunque si può perfezionare. Voglio dire il problema permanente è costruirsi nuove perfezioni di cui poi continuare ad avere, per sempre, nostalgia”.
(Ettore Sottsass, Scritto di Notte)

giovedì 3 agosto 2017

D'imparare a partire - leggeri.





Partiamo dal finale, da questo borsone verde Noth Face impermeabile, cm 50x30: il mio bagaglio a mano per i prossimi 21 giorni di vacanze. O forse potrei partire da un’immagine bellissima con sui se ne usci la mia amica e sorella d’anima Giulia – stavamo parlando delle Lezioni Americane di Calvino:

«Non saprei come spiegare, prova a immaginare la nostra vita come una splendida nevicata, leggera e rilassata, ecco forse vivi per davvero quando senza paura afferri il fiocco di neve che non t’aspettavi, quando tieni i palmi aperti verso il cielo e in cuor tuo sei sicuro che il cristallo giusto andrà a sciogliersi esattamente al centro di essi»

Milano, lunedì mattina di inizio luglio, temperatura percepita attorno ai 40°.
Sono seduta tra le pile di scatoloni dei miei due contemporanei traslochi, scarto un pacco Amazon Prime: direttamente da ordine nottetempo è approdato alla mia scrivania “Solo bagaglio a mano” o la classica stronzata che le persone vogliono leggere all’aeroporto [pagina 11: in una vita media di ottant’anni, siamo destinati a 46 ore di felicità e ne passiamo -chi? Fuori i nomi!- 18 a fare il nodo alla cravatta].

Poi il libro me lo sono letta oltre la pagina 11, e tutto d’un fiato. L’ho sottolineato e postillato all’inversimile, l’ha comprato anche la Giulia di cui sopra e ne ho già regalate almeno tre copie.

C’è un verbo greco, omerico e poi ripreso da Foscolo, che amo particolarmente: ezomai. Significa stare fermi da qualche parte ma con tutta l’energia dentro; senza che i due movimenti, il consistere e lo stare, entrino in conflitto. Il bagaglio a mano è la versione 2017 di questo verbo: due direzioni opposte che si incontrano nei 65 l di una Rinowa Salsa Air (per il mio compleanno, in azzurro, grazie). Lo stare, nel libro di Romagnoli, ha una direzione verticale, di introspezione: è il momento della scelta di cosa portare con sé, la cernita, eliminare ciò che nella nostra vita esorbita: non sono radici, ma zavorre.

Si parla anche di traslochi. Negli ultimi otto anni ho traslocato sette volte, di cui le ultime due a distanza di neppure undici mesi. Quanto è vero che con il tempo impari a selezionare, a portare dietro solo ciò che conta. Sarà che ho una memoria, nel bene e nel male, quasi infallibile ma sono sempre stata una collezionista dei fantomatici pezzetti di matita gialla. Ho rinvenuto souvenir improponibili, evidenziatori scarichi dagli ultimi esami, scontrini stinti, biglietti aerei illeggibili.  La cara vecchia trappola del “non lo uso mai ma è un ricordo”, micidiale nel capitolo guardaroba: il tubino - non rosso, ma si badi- tangerine, come la canzone dei Led Zeppelin che mi fu dedicata, le magliette a righe stinte accumulate in Francia, le Stan Smith bucate, il vestito anni ’30 di paillettes dorate [ok, quello l’ho conservato].
 
Una delle dichiarazioni d’amore più belle di tutti i tempi è la più scarna ed essenziale che ci sia:
Sono io! Sono me!” - Alekos Panagoulis a Oriana Fallaci.

Cresciuta nel mondo ovattato delle biblioteche,ho imparato a confrontarmi con un ambiente che richiede continuamente la versione marketing di noi stessi: aggiungere il tacco, il trucco, le frasi fatte convenzionali. Apparire è un’aggiunta, e una difesa. Banalmente, i tacchi erano diffusi tra i macellai per sollevarsi sulle carcasse degli animali macinati; circa mille anni dopo sono il modo per me – timiderrima-  di prendere le distanze, sembrare più alta e più grande.


«Realizzare la sineddoche di noi stessi è un obiettivo virtuoso. Significa non identificarsi attraverso una molteplicità si segni, oggetti, valori ma tendere a uno […]: essere, non ingombrare». (p.73)


Essere è un’arte della sottrazione.
Imparare a dire “Sono io! Sono me!” a sé stessi, prima che a qualcun altro.
Sono io, sono me.
[Giulia, Mot per gli amici, Giulietta per pochi, selezionati, intimi.
Indosso camicie da uomo, odio i tacchi, metto le gonne lunghe e ci inciampo dentro, non ho mai capito come si stenda l’ombretto. Sono una secchiona, precisa, memorizzo tutto e poi perdo in continuazione le chiavi di casa. Ho un massimale di 80 kg di deadlift ma non so leggere le mappe di Google Maps. Amo le albe, l’azzurro e i rooftop, odio gli apericena (che mi spiegassero poi, che termine è, apericena), non ho il kindle, non so guidare il motorino. Adoro il latte di mandorla, la granita siciliana vera, ho un debole per l’hummus e il babaganoush – e per chi sa pronunciarlo correttamente, aborro i croissant e gli yogurt gusto frutta].

Solo chi saprà scavare, capire e discernere potrà essere davvero leggero:

«Bagagli troppo pesanti ci inducono a scegliere percorsi più facili per non faticare troppo. Amiamo il segno più e il segno meno ci spaventa, eppure è un verbo da coniugare con esultanza» .(p. 68)

Questa leggerezza, si badi, non è superficialità, ma piuttosto quel "planare sulle cose dall’alto” di cui parla Calvino nell’apertura delle Lezioni, rimarcata citando un verso di Paul Valery: “Il faut être léger comme l'oiseau, et non comme la plume".
L’eroe della leggerezza è Perseo, che vola coi sandali alati, Perseo unico eroe capace di tagliare la testa pietrificatrice della Medusa. La pietra è il peso a cui è condannato il regno dell’umano, per fronteggiare il quale occorre «cambiare approccio, guardare il mondo con un’altra ottica, un’altra logica»:


«Se volessi scegliere un simbolo augurale per l'affacciarsi al nuovo millennio, sceglierei questo: l'agile salto improvviso del poeta- filosofo che si solleva sulla pesantezza del mondo, dimostrando che la sua gravità contiene il segreto della leggerezza, mentre quella che molti credono essere la vitalità dei tempi, rumorosa, aggressiva, scalpitante e rombante, appartiene al regno della morte, come un cimitero d'automobili arrugginite»

Oltre vent’anni dopo, questo augurio di Calvino ancora riecheggia nel ritratto della futura, rivoluzionaria, nuova generazione di viaggiatori con il bagaglio a mano «capace di scegliere la libertà […], disancorata da suolo e dal tempo. In sintonia piena e pure con l’esistenza».

Così, impariamo ad essere leggersi, agili, pronti a muoverci, nell’unica direzione in cui è consentito guardare: avanti. Siamo funamboli, sulla corda.
Ezomai. “Stare per avanzare”: un viaggio non si esaurisce nella preparazione di un bagaglio più o meno pesante, occorre saltare sul cavo. Il cavo è la vita nella sua più nuda evidenza: sobria, rude, scoraggiante. Questa è la prima lezione dal Trattato di Philippe Petit:

«Tutto è diverso ora che il filo è là. Puntate lo sguardo all’estremità, il traguardo e tentate una traversata. La traversata sarà una successione di equilibri: su un piede, poi sull’altro.  (p. 38).

Il funambolismo – lo ricorda Paul Auster nella sua bellissima Prefazione - non è un’arte della morte, «è un’arte della vita, è un modo di affrontare la propria vita, nell’angolo più oscuro e segreto di sé stessi»
Il passo leggiadro del funambolo, che sul filo cammina dritto puntando alle stelle, ignorando il baratro attorno, è una delle più straordinarie metafore di leggerezza: solo fronteggiando i nostri mostri, riusciremo ad essere dei veri eroi. Nell’antichità, lo sciamano rispondeva alle minacce per la sua tribù con riti magici, che lo facessero levitare oltre l’umano. Nel finale della sua Lezione, Calvino cita il Cavaliere del secchio di Kafka, cavaliere errante che compie il proprio volo magico «al semplice dondolio di un secchio vuoto, segno di privazione e di desiderio e di ricerca».

Così, in quei torridi 40° milanesi mi sono ritrovata a pensare alla famosa nevicata, leggendo il mio libretto arancione.
Ehi Giuli, ci hai mai pensato?"
La verità è che avevo sempre attribuito la leggerezza alla neve, elemento impalpabile ed effimero per antonomasia. Invece la leggerezza non è della neve, è dei nostri palmi; possiamo sentire il fiocco di neve solo se abbiamo le mani aperte per farlo.  
Se il secchio fosse pieno, non gli permetterebbe di volare.

E, dopo essersi posato, come tutti i fiocchi di neve, anche il nostro fiocco perfetto si scioglierà lasciando il vuoto. Conta solo quel che potrà ancora essere.

Così, leggeri, continuiamo ad avanzare con i nostri secchi vuoti, con le nostre mani aperte, e che siano tramonti, albe, tempeste di neve da attraversare, senza malinconia.





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I. Calvino, Lezioni Americane, Milano, Mondadori, 2011
P. Petit, Trattato di Funambolismo, Milano, Ponte alle Grazie, 2015
G. Romagnoli, Solo bagaglio a mano, Milano, Feltrinelli, 2015