martedì 31 dicembre 2019

Ho visto gli ibis rossi danzare (2019)

Del 2019 ricorderò quel giorno di agosto, quando nel delta del Parnaiba ho visto gli ibis rossi volare.
Ci eravamo lasciati alle spalle  il deserto e lagune dei  Lencois Maranhenses, per navigare lungo un fiume fangoso.

 Il mio anno come  quella barca, a motore spento in un delta torbido.

La promessa, alla fine, era di arrivare all'oceano ma a metà – quando sia la terra dietro sia il mare davanti non li vedevi più, li ricordavi – li intuivi, ecco, in quel momento la nostra barca si è fermata.

Del 2018 scrivevo che ci vuole coraggio a cambiare, ad andare avanti; rimango grata della libertà che mi è stata data di scegliere se fermarmi, di nessun braccio che mi abbia mai tirato indietro. “Resta qui” quando accadrà chissà se ne sarò di nuovo capace  di restare, io con le mie difese gli occhi bassi le risposte tranchant i silenzi le distanze da ribadire le sveglie per allenarmi alle 0600.

Galleggiare.
Scendeva il tramonto sul fiume. Attendevamo qualcosa che sarebbe potuto succedere oppure no, per  una bava di vento di troppo, i rumori dei turisti d’agosto: gli ibis rossi, loro stessi esistenza eccezionale che può succedere oppure no, in un’intricatissima biologia, l’equilibrio sottile di un ecosistema di plancton e molluschi –che, ingeriti, lasciano al loro piumaggio il colore scarlatto.
Passa il primo, un volo un po’ a caso, sembra la classica trappola per turisti. Passano delle sparute coppie,  attraversano il fiume e si nascondono tra gli alberi. Tutto è scetticismo prima, e umidità dell’acqua che penetra dentro le ossa, mentre ci stringevamo nelle giacche a vento leggere. Poi il cielo diventa una danza: rosa del tramonto, rosso delle piume.

Dunque il mio anno come  quella barca, a motore spento in un delta torbido. E fa freddo, e ho la sabbia del deserto nei capelli  annodati, il desiderio frettoloso di raggiungere l’oceano. 
Ma qualcosa si interrompe e l'interruzione è il planare leggiadro degli ibis: mi sono incantata, anzi  ho lasciato che incantasse me,  che mi chiedo se sono capace di fermarmi.  Riconoscersi nella bellezza, saperla – ancora – riconoscere, in un volo di uccelli, in un alba silenziosa, sulla pietra lavica di qualche caletta con l'acqua profonda, nella lama di bianco della neve in cima a una montagna,  nella finestra spalancata dell’ultimo piano di Palazzo Braschi, in un Etat Libre D’Orange con la zucca e lo zenzero che, inspiegabilmente, ha il profumo di un tramonto a Pian della Ghirlanda.
Alzarsi sulle punte dei piedi, i muscoli tesi nello sforzo di avvicinarsi, di perdersi meglio. Strizzare gli occhi per vedere.  Con il mio obiettivo sbagliato che non mi verranno mai foto decenti, con le lenti piene di salsedine. Con le nostre mani di carta per avvolgere altre mani normali, l’esercizio difficile delle meraviglie.