Del 2019
ricorderò quel giorno di agosto, quando nel delta del Parnaiba ho visto gli
ibis rossi volare.
Ci eravamo lasciati alle spalle il deserto e lagune dei Lencois Maranhenses, per
navigare lungo un fiume fangoso.
Il mio anno come quella barca, a motore spento in un delta
torbido.
La promessa,
alla fine, era di arrivare all'oceano ma a metà – quando sia la terra
dietro sia il mare davanti non li vedevi più, li ricordavi – li intuivi, ecco, in quel momento la nostra barca si è fermata.
Del 2018 scrivevo che
ci vuole coraggio a cambiare, ad andare avanti; rimango grata della libertà che mi
è stata data di scegliere se fermarmi, di nessun braccio che mi abbia mai tirato indietro. “Resta qui” quando accadrà chissà se
ne sarò di nuovo capace di restare, io con le mie difese gli occhi
bassi le risposte tranchant i silenzi le distanze da ribadire le sveglie per allenarmi alle
0600.
Galleggiare.
Scendeva il tramonto sul fiume. Attendevamo
qualcosa che sarebbe potuto succedere oppure no, per una bava di vento di troppo, i rumori dei
turisti d’agosto: gli ibis rossi, loro stessi esistenza eccezionale che può succedere oppure no, in
un’intricatissima biologia, l’equilibrio sottile di un ecosistema di plancton e
molluschi –che, ingeriti, lasciano al loro piumaggio il colore scarlatto.
Passa il primo, un volo un po’ a caso, sembra la
classica trappola per turisti. Passano delle sparute coppie, attraversano il fiume e si nascondono tra gli
alberi. Tutto è scetticismo prima, e umidità dell’acqua che penetra dentro le
ossa, mentre ci stringevamo nelle giacche a vento leggere. Poi il cielo diventa una
danza: rosa del tramonto, rosso delle piume.
Dunque il mio anno come
quella barca, a motore spento in un delta torbido. E fa freddo, e ho la
sabbia del deserto nei capelli annodati,
il desiderio frettoloso di raggiungere l’oceano.
Ma qualcosa si interrompe e l'interruzione è il planare leggiadro degli ibis: mi sono incantata, anzi ho lasciato
che incantasse me, che mi
chiedo se sono capace di fermarmi. Riconoscersi
nella bellezza, saperla – ancora – riconoscere, in un volo di uccelli, in un alba silenziosa, sulla pietra
lavica di qualche caletta con l'acqua profonda, nella lama di bianco della neve in
cima a una montagna, nella finestra
spalancata dell’ultimo piano di Palazzo Braschi, in un Etat Libre D’Orange con la zucca e lo zenzero che, inspiegabilmente, ha il profumo di un tramonto a Pian della Ghirlanda.
Alzarsi sulle punte dei piedi, i muscoli tesi nello sforzo
di avvicinarsi, di perdersi meglio.
Strizzare gli occhi per vedere. Con il
mio obiettivo sbagliato che non mi verranno mai foto decenti, con le lenti
piene di salsedine. Con le nostre mani di
carta per avvolgere altre mani normali, l’esercizio difficile delle
meraviglie.