sabato 31 dicembre 2022

L' anno in cui tutti lessero Sally Rooney

Ho scelto, in questo mio anno bianco, un libro pieno di corpi e di sesso.

C’è una citazione di Calvino, probabilmente la mia preferita di sempre: Abbiamo tutti una ferita per riscattare la quale combattiamo. Ecco qua il mondo delle relazioni dopo i trent’anni: post pandemia e post Tinder, anche.

 Siamo tutti il secondo giro di qualcuno.  Abbiamo già vissuto tutte le prime volte; abbiamo mangiato pizze nel cartone su pavimenti di salotti ancora senza tavoli, e verniciato muri e montato mobili Ikea.

Che è poi il mondo della Sally, con i suoi personaggi deficienti – nel senso letterale del termine, perché hanno perso o mancano sempre di qualcosa.

[Nei giorni in cui stavo leggendo il libro - ero ad Anafi, nuotavo nuda, facevo trekking sulle montagne - ho ricevuto, inattesa, una mail che mi diceva proprio questo:

“Giulia mi manchi”

“Mancarsi, con te, è sempre stato un verbo di traiettorie, non di malinconie” – ho risposto io].

Traiettorie, non malinconie.

Fare pace con gli sbandamenti e le incertezze – casuali, dadaiste, bellissime.

Fare pace con la libertà, potentissima, di dire cosa voglio e che cosa no.

A me, ad esempio, fa rabbrividire una certa narrativa rassicurante della coppia che fa incetta di detersivi con la Fidaty Esselunga la domenica. La mia amica Miri mi ha descritto spesso certe pellicole sperimentali: voglio montare la pellicola al contrario e vedere che cosa succede nell’extra ordinario, nel margine di scarto del là dove (là come) non avremmo mai pensato.

C’è stata una domenica – la prima di dicembre – in cui ho mangiato un gelato. C’era un sole pallidissimo, faceva già freddo, e io ero seduta su una panchina, con il cappello di lana, il maglione pesante e un cono al pistacchio e cioccolato fondente.  Leccare un gelato – in qualche modo ingannare l’inverno, mentre tutto intorno lo è già, inverno.

Facciamo quello che vogliamo.

Come l’arte Gutai: il gesto sublime di lanciare la bottiglia delle storie senza sapere precisamente dove e come vanno a finire, il balzo di Murakami attraverso la carta da pacchi senza che conti né il prima né il dopo: importa il balzo stesso, la sollecitazione della materia che comincia  a raccontare la sua storia.

Saltare dentro il foglio, strappare i cieli di carta. Che sia questa – pensavo – l’ultima stanza illuminata?  

Non un luogo, ma un atto. Un atto di imprevista, sublime, insensata bellezza.

Allora dovresti venire, disse lei.