domenica 25 aprile 2021

La fine dei vandalismi




E quando è finita la zona rossa ho messo lo smalto – mani piedi, color fuoco fuochissimo. Ho comprato dei sandali dorati, tacco 12. Li definirei, d’istinto, sciocchini.

Dopo – boh? Arrotondiamo a sei mesi, - di quasi interrotto lockdown questo ora ci accontentiamo  di avere alla nostra personale fine dei vandalismi? Quasi ci fosse stato un progressivo restringimento, la pressurizzazione di tutto ciò che chiamavamo orizzonte, e desiderio (l’oceano o il mare, un vulcano, o un’isola vulcanica, o  anche un’isola e basta, appena un po’ fuori stagione o un bivacco di latta in cima alla montagna, o un biglietto intercontinentale per lavarsi i capelli nel lavandino durante lo scalo, e il “tanto viaggio solo con il bagaglio a mano” – che è poi il North Face scientificamente riempito ai canonici 9,5kg, o, anche meno, dai – la luce di Roma e i baci da inventare ai Fori  o meno, meno  ancora, un qualsiasi tavolino traballante in una qualsiasi giornata all’aperto dove ingozzarsi di pane e burro e acciughe e se viene sete pazienza, ci si beve su).

A  volte mi chiedo se non stiamo scendendo ad un minimo denominatore multiplo, in un substrato di infinitesimali aggrappi. Come dopo l’estinzione dei dinosauri, sopravvivono i minima, gli infimi gradi delle manifestazioni di esistenza: una doppia passata di smalto, e un paio di sandali dorati, altissimi,  mezzi scemi – per camminarci dove, poi, non si sa.

Sono stata, quello stesso giorno, a una mostra, in una delle gallerie appena riaperte: Ritorno al barocco: Fontana, Leoncillo, Melotti. Una manciata di opere che indagano il legame tra questi tre artisti del XX secolo e la cultura barocca del Seicento e Settecento, concentrandosi su una selezione di ceramiche -  l’arte come rabdomante della vita che non ne concilia ma anzi intercetta e anticipa le tensioni: il barocco, periodo d’impulsi e sconquassi e controluce violente, e l’argilla che ne è l’espressione. Mi ha colpito molto questa scelta: l’argilla è un materiale difficile, malleabile ma ombroso, quasi grezzo. Al contrario il vetro è per definizione trasparente, non ha misteri,  è pura fragilità da proteggere perché una volta infranto non si può più ricomporre. L’argilla è opaca; è al tempo stesso creazione e memento mori: di terra siamo fatti, alla terra torneremo – ma, anche, è terra che si può riparare, trasfigurare con l’oro: è il kitsugi giapponese, è Leoncillo che nel 1942 creò i suoi trofei e trasfigurò i soldati in masse vivide di colori mischiati con l’oro sottraendoli alla condizione umana.

RITORNO AL BAROCCO Fontana Leoncillo Melotti, Installation view at ML FINE ART Matteo Lampertico I Ph. Daniele De Lonti

RITORNO AL BAROCCO Fontana Leoncillo Melotti, I ML FINE ART  I Ph. Daniele De Lonti

La perfezione del cristallo, la porosità dell’argilla: nel 1968, l’anno degli hippies e del maggio francese, nel mondo letterario accadono due fatti, apparentemente lontani e scollegati tra loro: primo, il giapponese Kawabata Yasunari vince il premio Nobel. E’ una vittoria che è al tempo stesso il riconoscimento di un talento e la fine dell’embargo culturale postbellico. Le immagini della cerimonia restituiscono un ritratto dello scrittore ieratico e fuori dal tempo, vestito con un kimono tradizionale che «lo fa apparire come un maestro di calligrafia». Nel suo discorso, La bellezza del Giappone ed io, cesella con parole dense ed evocative come ideogrammi l’estetica del Paese: i ciliegi, la  luna, la cerimonia del tè.

Kawabata tornerà sul tema della bellezza alcuni mesi più tardi.  In occasione di due conferenze che è invitato a tenere a Honolulu scrive il saggio “Esistenza e scoperta della bellezza”: una bellezza pura come vetro, anzi è proprio – materialmente – il vetro, trasparente e inondato di luce della pila di bicchieri nella sala colazioni del Kahala Hilton Hotel

“Ho ammirato non so quante volte la bellezza dei bicchieri di vetro che brillano al sole, disposti su un lungo tavolo in un angolo. Non ho mai visto, in nessun altro luogo bicchieri che brillassero con lo stesso splendore. […] Ma avvertivo il desiderio di fermare in parole, qui e adesso, la mia scoperta e la mia percezione della bellezza  dei bicchieri di vetro che scintilllano alla luce del mattino”

Kawabata ricorda a noi, uomini di terra, l’effimera, evanescente, ineffabile bellezza del vetro  - è Ichigo Ichie – cioè un incontro unico e irripetibile: un continuo esercizio a sapersi incantare - laddove dove gli altri vedono solo dei bicchieri impilati, trovare la bellezza – inventare qualcosa che prima non c’era e ora c’è.


Ma il 1968 è anche l’anno in cui Italo Calvino fa uscire per il Club degli Editori una nuova edizione dei suoi racconti cosmicomici, La Memoria del mondo e altre Cosmicomiche.  È uno dei suoi testi meno conosciuti seppur lui nella Premessa paradossalmente dichiari: «è questo il vero libro che avevo voluto scrivere fin dal principio». E solo in questa raccolta, programmaticamente pensata (nel titolo e nella struttura) per conservare la memoria del proprio universo, c’è l’emblema forse più compiuto di tutta l’architettura cosmicomica.

I racconti (alcuni inediti, altri ripresi dalle edizioni precedenti) sono organizzati in una complessa costruzione tetralogica di cinque sezioni da quattro testi ciascuna:  e al numero 16, cioè 4x4, quindi il cuore della sua costruzione, inserisce un racconto che è presente solo in questo volume: Le Conchiglie  e il tempo.

L’edizione precedente (1965) delle Cosmicomiche si era chiusa con il capitolo La Spirale, di cui questo testo avrebbe dovuto essere la continuazione inedita. La spirale era l’esito di una metamorfosi: l’informe mollusco che sulla spinta della pulsione amorosa iniziava a darsi la forma di una spirale, senza un dove né un quando: inglobava il tutto di un mondo prigioniero del piano sincronico dell’eterno presente.

Io sono stato […] io misero mollusco condannato al mio vivere momento per momento, io prigioniero perpetuo d’un interminabile presente. […] Perché, intendetemi, io di come potesse essere il tempo non avevo idea e nemmeno avevo idea che ci potesse mai essere, qualcosa come il tempo. I giorni e le notti mi battevano addosso come le onde, interscambiabili, uguali oppure segnati da differenze casuali, un su e giù in cui era impossibile stabilire un senso e una norma (MM 1241).

Ora invece  Calvino introduce due elementi: il tempo e la materia. Frammentando i singoli, infinitesimali,  istanti che ne formano l’esistenza, si ottiene la conchiglia: che è la  spirale, ma temporalizzata e materializzata.   Darsi una materia per costruire la  conchiglia diventa l’atto difensivo contro l’azione corrosiva di tutti i presenti: progettare il proprio guscio è la massima espressione dell’affermazione del sé nello spazio e del sé nel fluire del tempo: 

Però nel costruirmi la conchiglia, l’intenzione che ci ho messo era già in qualche modo connessa al tempo, un’intenzione di separare il mio presente dalla soluzione corrosiva di tutti i presenti, tenerlo fuori, metterlo da parte […] Bisogna che cominciassi col fissare dei segni nella continuità immisurabile: stabilire una serie d’intervalli, cioè di numeri. La materia calcarea che secernevo facendola girare a spirale su se stessa era appunto qualcosa che proseguiva ininterrotta, ma intanto, a ogni giro di spirale, separava il bordo d’un giro dal bordo d’un altro giro, per cui, volendo contare qualcosa, potevo cominciare a contare questi giri. Ciò che volevo fabbricarmi, insomma, era un tempo solamente mio, regolato esclusivamente da me, chiuso: un orologio che non aveva da render conto a nessuno di quel che segnava. Avrei voluto fabbricare un tempo-conchiglia lunghissimo, ininterrotto, continuare la mia spirale senza smettere mai (MM 1243-1243).

La conchiglia diventa fossile: traccia materica dell’ostinata fatica dei molluschi di durare, di regalare il loro regno – il tempo – agli umani, «la più volubile razza d’abitanti del provvisorio».

Adesso è chiaro che la fabbricazione del tempo consisteva proprio nella sconfitta dei nostri sforzi di fabbricarlo; solo che non avevamo lavorato per noi, ma per voialtri. Qualcuno doveva pur cominciare: non tanto a fare quanto a farsi, a farsi cosa, a farsi in ciò che faceva, a far sì che tutte le cose lasciate, le cose seppellite fossero segni d’altro […]. A partire dalle nostre spirali interrotte avete messo insieme una spirale continua che chiamate storia. […] La vostra storia è il contrario della nostra, il contrario della storia di ciò che muovendosi non è arrivato, di ciò che per durare si è perso (MM 1246).

Rispetto all’amico Saul Steinberg, che in quegli stessi anni disegnava spirali create a partire dalla mano dell’uomo, Calvino compie invece una sorta di rivoluzione copernicana: l’uomo non è il creatore, centro e origine della spirale, ne è  ma è esso stesso parte.

La conchiglia cosmicomica ingloba la totalità della storia, la rende visibile e la ordina in una struttura infinitamente scomponibile e replicabile: l’esito della ricerca costruttiva di Calvino è molto simile al progetto dell’ideale “Mundaneum” («museo del mondo a crescita illimitata») spiraliforme che elaborò Le Corbusier.

 

Una sola concezione architettonica fondamentale può costituire una forma organica. Questa forma è una triplice navata che si sviluppa lungo una spirale. All’inizio della spirale, in alto, i tempi preistorici e la rappresentazione succinta – tra l’altro sorprendente – che di questi abbiamo.  E scendendo la spirale, una dopo l’altra, tutte le civiltà mondiali. La storia e l’archeologia accumulano sempre più i documenti, noi sappiamo sempre più come l’uomo s’è mantenuto attraverso le diverse forme di organizzazione e della cultura. Il diorama diventa sempre più vasto e preciso. La spirale ingrandisce la sua traiettoria, lo spazio aumenta […]. La carta del mondo si ingrandisce, si modifica, palpita come una fioritura presa al rallentatore del cinema […]. A ogni tornante, un orizzonte nuovo; a ogni spirale, una vista più libera. Vede i quadri della gestazione del mondo; le nebulose che diventano soli; il meccanismo dei pianeti, la separazione dell’aria, dell’acqua, della terra. Poi le prime vegetazioni, poi i primi animali, le bestie gigantesche della preistoria. Ecco uno scheletro di Plesiosauro! Ecco il primo uomo! Ecco il cranio dell’uomo evoluto con la sua fronte come una cupola. Ecco delle tombe. Strutture di pietra in forma architettonica. L’uomo è architetto. La sua funzione è di creare ordine (corsivi miei).

 

 (Le Corbusier,  Projet de Musée à croissance illimitée, 1934)

Anche per Calvino, la spirale diventa «un museo dell’umano», che ne racchiude tutta la storia a partire dalle origini:


qualcuno doveva pur cominciare, non tanto a fare quanto a farsi, a farsi cosa, a farsi in ciò che faceva, a far sì che tutte le cose lasciate, le cose seppellite, fossero segni d’altro, l’impronta delle spine del pesce nell’argilla, le foreste carbonizzate e petrolifere, la zampata del dinosauro del Texas nel fango del Cretaceo, la carcassa del mammuth ritrovato nella tundra […], la Venere di Willendorf, le rovine d’Ur, i rotoli degli Esseni, la punta di lancia longobarda spuntatasi a Torcello, il tempio dei Templari, il tesoro degli Incasa, il Palazzo d’Inverno e l’Istituto Smollnji, il cimitero delle automobili… A partire dalle nostre spirali interrotte avete messo insieme una spirale continua che chiamate storia (MM 1246).

La conchiglia è la spirale diventata organicità, diventata terra – anzi, dalla terra creata e che alla terrà tornerà. Ma il guscio della conchiglia protegge il tutto: affinchè quello che è stato creato fin qui, tutta la storia cosmica inglobata nelle volute di sottile madreperla sia salvaguardata e diventi l’eredità da trasmettere alle generazioni future di «coloro che la sapranno leggere». 

Nonostante i reiterati fallimenti sempre vivo è il desiderio di trovare una forma per il proprio divenire, nel tragico e instabile fluire degli eventi. In una delle sue ultime interviste Calvino afferma:

 

c’è ovviamente un modo migliore per superare la tragicità: dare una forma al divenire. Ma per far questo bisogna credere alla possibilità di dare una forma alla propria vita, creando una storia con un senso compiuto (corsivi miei).

 

Ed ecco, allora, la terra e il vetro, per costruire, per custodire.

Se è vero che siamo questa terra, siamo parte integrante di questo continuum metamorfico di frammenti e residui di secrezioni fossili. Inglobiamo nelle nostre volute la storia, il capriccio di uno smalto rosso un pomeriggio di primavera, lo stupore per un riflesso, l’attrazione per lo scintillio dell’oro (in una statua, in un sandalo, nel fondo di un’iride screziata di fronte a noi).

E’ nella terra che impastiamo le nostre tensioni e inquietudini, la nostra storia di umanità (e poi, come soldati,  come eroi feriti chiediamo all’arte e alla bellezza – nostre preziose polverine d’oro – il compito di trasfigurarci – levitarci- oltre: Dare una forma, proteggerla,  e poi tramandarla - storie come quotidiane pennellate d’oro a è ciò che resta da salvare, per salvarsi.

 

 

 

Le Corbusier,  Projet de Musée à croissance illimitée, 1934

 

 

Figura 3. Saul STEINBERG, One end of a series of spirals is being completed by a man with a pen; he sees a mental image of himself completing the other end of the spirals (disegno), “The New Yorker” 20, February 1965.

 

GLI ESSENZIALI:

Le opere di Italo Calvino sono com’è noto raccolte nei «Meridiani» Mondadori in varie serie. Tutte le edizioni delle Cosmicomiche sono in: 

  • Romanzi e racconti, edizione diretta da Claudio Milanini, a cura di Mario Barenghi e Bruno Falcetto, Milano, Mondadori, 1992, vol. II (siglato RII).

Le Corbusier, “Mundaneum”, L’Architecture vivante, VII, n. 20, primavera-estate 1929, pp. 21-32 ( Traduzione di L. Basso Peressut) ora in L. Basso Peressut, Il museo moderno. Architettura e museografia da Perret a Kahn, San Giuliano Milanese, Edizioni Lybra Immagine, 2005, pp. 102-104.

K. Yasunari, Esistenza e Scoperta della bellezza in K. Yasunari, La danzatrice di Izu, a cura di Giorgio Amitrano. Traduzione di Gala Maria Follaco e Giorgio Amitrano, Piccola Biblioteca Adelphi, 2017.

Per la mostra Ritorno al barocco: Fontana, Leoncillo, Melotti: 

https://www.mlfineart.com/exhibitions/30-ritorno-al-barocco-fontana-leoncillo-melotti/