E
quando è finita la zona rossa ho messo lo smalto – mani piedi, color fuoco fuochissimo. Ho comprato dei sandali dorati, tacco 12. Li definirei,
d’istinto, sciocchini.
Dopo
– boh? Arrotondiamo a sei mesi, - di quasi interrotto lockdown questo ora ci accontentiamo di avere alla nostra personale fine dei
vandalismi? Quasi ci fosse stato un progressivo restringimento, la
pressurizzazione di tutto ciò che chiamavamo orizzonte, e desiderio (l’oceano
o il mare, un vulcano, o un’isola
vulcanica, o anche un’isola e basta, appena
un po’ fuori stagione o un bivacco di latta in cima alla montagna, o un
biglietto intercontinentale per lavarsi i capelli nel lavandino durante lo
scalo, e il “tanto viaggio solo con il
bagaglio a mano” – che è poi il North Face scientificamente riempito ai
canonici 9,5kg, o, anche meno, dai – la luce di Roma e i baci da inventare ai
Fori o meno, meno ancora, un qualsiasi tavolino traballante in
una qualsiasi giornata all’aperto dove ingozzarsi di pane e burro e acciughe e
se viene sete pazienza, ci si beve su).
A
volte mi chiedo se non stiamo scendendo ad un minimo denominatore
multiplo, in un substrato di infinitesimali aggrappi. Come dopo l’estinzione
dei dinosauri, sopravvivono i minima, gli infimi gradi delle manifestazioni di
esistenza: una doppia passata di smalto, e un paio di sandali dorati,
altissimi, mezzi scemi – per camminarci
dove, poi, non si sa.
Sono stata, quello stesso giorno, a
una mostra, in una delle gallerie appena riaperte: Ritorno al barocco: Fontana, Leoncillo, Melotti. Una manciata di opere che indagano il
legame tra questi tre artisti del XX secolo e la cultura barocca del Seicento e
Settecento, concentrandosi su una selezione di ceramiche - l’arte come rabdomante della vita che non ne
concilia ma anzi intercetta e anticipa le tensioni: il barocco, periodo
d’impulsi e sconquassi e controluce violente, e l’argilla che ne è
l’espressione. Mi ha colpito molto questa scelta: l’argilla è un materiale
difficile, malleabile ma ombroso, quasi grezzo. Al contrario il vetro è per
definizione trasparente, non ha misteri,
è pura fragilità da proteggere perché una volta infranto non si può più
ricomporre. L’argilla è opaca; è al tempo stesso creazione e memento
mori: di terra siamo fatti, alla terra torneremo – ma, anche, è terra che
si può riparare, trasfigurare con l’oro: è il kitsugi giapponese, è Leoncillo che nel 1942 creò i suoi trofei e trasfigurò
i soldati in masse vivide di colori mischiati con l’oro sottraendoli alla
condizione umana.
RITORNO AL BAROCCO Fontana Leoncillo Melotti, I ML FINE ART I Ph. Daniele De Lonti
La perfezione del cristallo, la
porosità dell’argilla: nel 1968, l’anno degli hippies e del maggio francese, nel mondo letterario accadono due
fatti, apparentemente lontani e scollegati tra loro: primo, il giapponese Kawabata
Yasunari vince il premio Nobel. E’ una vittoria che è al tempo stesso il
riconoscimento di un talento e la fine dell’embargo culturale postbellico. Le
immagini della cerimonia restituiscono un ritratto dello scrittore ieratico e
fuori dal tempo, vestito con un kimono tradizionale che «lo fa apparire come un
maestro di calligrafia». Nel suo discorso, La
bellezza del Giappone ed io, cesella con parole dense ed evocative come
ideogrammi l’estetica del Paese: i ciliegi, la luna, la cerimonia del tè.
Kawabata tornerà sul tema della
bellezza alcuni mesi più tardi. In
occasione di due conferenze che è invitato a tenere a Honolulu scrive il saggio
“Esistenza e scoperta della bellezza”:
una bellezza pura come vetro, anzi è proprio – materialmente – il vetro,
trasparente e inondato di luce della pila di bicchieri nella sala colazioni del
Kahala Hilton Hotel
“Ho ammirato non so quante volte la bellezza dei
bicchieri di vetro che brillano al sole, disposti su un lungo tavolo in un
angolo. Non ho mai visto, in nessun altro luogo bicchieri che brillassero con
lo stesso splendore. […] Ma avvertivo il desiderio di fermare in parole, qui e
adesso, la mia scoperta e la mia percezione della bellezza dei bicchieri di vetro che scintilllano alla
luce del mattino”
Kawabata ricorda a noi, uomini di
terra, l’effimera, evanescente, ineffabile bellezza del vetro - è Ichigo
Ichie – cioè un incontro unico e irripetibile: un continuo esercizio a
sapersi incantare - laddove dove gli altri vedono solo dei bicchieri impilati, trovare
la bellezza – inventare qualcosa che prima non c’era e ora c’è.
Ma il 1968 è anche l’anno in cui Italo
Calvino fa uscire per il Club degli Editori una nuova edizione dei suoi
racconti cosmicomici, La Memoria del
mondo e altre Cosmicomiche. È uno
dei suoi testi meno conosciuti seppur lui nella Premessa paradossalmente
dichiari: «è questo il vero libro che avevo voluto scrivere fin dal principio».
E solo in questa raccolta, programmaticamente pensata (nel titolo e nella struttura)
per conservare la memoria del proprio universo, c’è l’emblema forse più
compiuto di tutta l’architettura
cosmicomica.
I racconti (alcuni inediti, altri
ripresi dalle edizioni precedenti) sono organizzati in una complessa
costruzione tetralogica di cinque sezioni da quattro testi ciascuna: e al numero 16, cioè 4x4, quindi il cuore della sua costruzione, inserisce un
racconto che è presente solo in questo volume: Le Conchiglie e il tempo.
L’edizione
precedente (1965) delle Cosmicomiche
si era chiusa con il capitolo La Spirale,
di cui questo testo avrebbe dovuto essere la continuazione inedita. La spirale era l’esito di una metamorfosi: l’informe
mollusco che sulla spinta della pulsione amorosa iniziava a darsi la forma di
una spirale, senza un dove né un quando: inglobava il tutto di un mondo
prigioniero del piano sincronico dell’eterno presente.
Io sono stato […] io misero mollusco condannato al mio
vivere momento per momento, io prigioniero perpetuo d’un interminabile
presente. […] Perché, intendetemi, io di come potesse essere il tempo non avevo
idea e nemmeno avevo idea che ci potesse mai essere, qualcosa come il tempo. I
giorni e le notti mi battevano addosso come le onde, interscambiabili, uguali
oppure segnati da differenze casuali, un su e giù in cui era impossibile
stabilire un senso e una norma (MM 1241).
Ora
invece Calvino introduce due elementi:
il tempo e la materia. Frammentando i singoli, infinitesimali, istanti che ne formano l’esistenza, si ottiene
la conchiglia: che è la spirale, ma temporalizzata e materializzata. Darsi una materia per costruire la conchiglia
diventa l’atto difensivo contro l’azione corrosiva di tutti i presenti:
progettare il proprio guscio è la massima espressione dell’affermazione del sé
nello spazio e del sé nel fluire del tempo:
Però nel costruirmi la conchiglia, l’intenzione che ci
ho messo era già in qualche modo connessa al tempo, un’intenzione di separare
il mio presente dalla soluzione corrosiva di tutti i presenti, tenerlo fuori,
metterlo da parte […] Bisogna che cominciassi col fissare dei segni nella
continuità immisurabile: stabilire una serie d’intervalli, cioè di numeri. La
materia calcarea che secernevo facendola girare a spirale su se stessa era
appunto qualcosa che proseguiva ininterrotta, ma intanto, a ogni giro di
spirale, separava il bordo d’un giro dal bordo d’un altro giro, per cui,
volendo contare qualcosa, potevo cominciare a contare questi giri. Ciò che
volevo fabbricarmi, insomma, era un tempo solamente mio, regolato esclusivamente
da me, chiuso: un orologio che non aveva da render conto a nessuno di quel che
segnava. Avrei voluto fabbricare un tempo-conchiglia lunghissimo, ininterrotto,
continuare la mia spirale senza smettere mai (MM 1243-1243).
La
conchiglia diventa fossile: traccia materica dell’ostinata fatica dei molluschi
di durare, di regalare il loro regno – il tempo – agli umani, «la più volubile
razza d’abitanti del provvisorio».
Adesso è chiaro che la fabbricazione del tempo
consisteva proprio nella sconfitta dei nostri sforzi di fabbricarlo; solo che
non avevamo lavorato per noi, ma per voialtri. Qualcuno doveva pur cominciare:
non tanto a fare quanto a farsi, a farsi cosa, a farsi in ciò che faceva, a far
sì che tutte le cose lasciate, le cose seppellite fossero segni d’altro […]. A
partire dalle nostre spirali interrotte avete messo insieme una spirale
continua che chiamate storia. […] La vostra storia è il contrario della nostra,
il contrario della storia di ciò che muovendosi non è arrivato, di ciò che per durare
si è perso (MM 1246).
Rispetto
all’amico Saul Steinberg, che in quegli stessi anni disegnava spirali create a
partire dalla mano dell’uomo, Calvino compie invece una sorta di rivoluzione
copernicana: l’uomo non è il creatore, centro e origine della spirale, ne è ma è esso stesso parte.
La
conchiglia cosmicomica ingloba la totalità della storia, la rende visibile e la
ordina in una struttura infinitamente scomponibile e replicabile: l’esito della
ricerca costruttiva di Calvino è molto simile al progetto dell’ideale
“Mundaneum” («museo del mondo a crescita illimitata») spiraliforme che elaborò
Le Corbusier.
Una
sola concezione architettonica fondamentale può costituire una forma organica. Questa
forma è una triplice navata che si sviluppa lungo una spirale. All’inizio
della spirale, in alto, i tempi preistorici e la rappresentazione succinta –
tra l’altro sorprendente – che di questi abbiamo. E scendendo la spirale,
una dopo l’altra, tutte le civiltà mondiali. La storia e l’archeologia accumulano
sempre più i documenti, noi sappiamo sempre più come l’uomo s’è mantenuto
attraverso le diverse forme di organizzazione e della cultura. Il diorama
diventa sempre più vasto e preciso. La spirale ingrandisce la sua
traiettoria, lo spazio aumenta […]. La carta del mondo si ingrandisce, si
modifica, palpita come una fioritura presa al rallentatore del cinema […].
A ogni tornante, un orizzonte nuovo; a ogni spirale, una vista più libera. Vede
i quadri della gestazione del mondo; le nebulose che diventano soli; il
meccanismo dei pianeti, la separazione dell’aria, dell’acqua, della terra. Poi
le prime vegetazioni, poi i primi animali, le bestie gigantesche della
preistoria. Ecco uno scheletro di Plesiosauro! Ecco il primo uomo! Ecco il
cranio dell’uomo evoluto con la sua fronte come una cupola. Ecco delle tombe.
Strutture di pietra in forma architettonica. L’uomo è architetto. La
sua funzione è di creare ordine (corsivi miei).
(Le
Corbusier, Projet de Musée à croissance illimitée, 1934)
Anche per Calvino, la spirale diventa «un museo
dell’umano», che ne racchiude tutta la storia a partire dalle origini:
qualcuno
doveva pur cominciare, non tanto a fare quanto a farsi, a farsi cosa, a farsi
in ciò che faceva, a far sì che tutte le cose lasciate, le cose seppellite,
fossero segni d’altro, l’impronta delle spine del pesce nell’argilla, le
foreste carbonizzate e petrolifere, la zampata del dinosauro del Texas nel
fango del Cretaceo, la carcassa del mammuth ritrovato nella tundra […], la
Venere di Willendorf, le rovine d’Ur, i rotoli degli Esseni, la punta di lancia
longobarda spuntatasi a Torcello, il tempio dei Templari, il tesoro degli
Incasa, il Palazzo d’Inverno e l’Istituto Smollnji, il cimitero delle
automobili… A partire dalle nostre spirali interrotte avete messo insieme una
spirale continua che chiamate storia (MM 1246).
La
conchiglia è la spirale diventata organicità, diventata terra – anzi, dalla terra creata e che alla terrà tornerà.
Ma il guscio della conchiglia protegge il tutto: affinchè quello che è stato
creato fin qui, tutta la storia cosmica inglobata nelle volute di sottile
madreperla sia salvaguardata e diventi l’eredità da trasmettere alle
generazioni future di «coloro che la sapranno leggere».
Nonostante
i reiterati fallimenti sempre vivo è il desiderio di trovare una forma per il
proprio divenire, nel tragico e instabile fluire degli eventi. In una delle sue
ultime interviste Calvino afferma:
c’è
ovviamente un modo migliore per superare la tragicità: dare una forma al
divenire. Ma per far questo bisogna credere alla possibilità di dare una
forma alla propria vita, creando una storia con un senso compiuto (corsivi
miei).
Ed
ecco, allora, la terra e il vetro, per costruire, per custodire.
Se
è vero che siamo questa terra,
siamo parte integrante di questo continuum
metamorfico di frammenti e residui di secrezioni fossili. Inglobiamo nelle
nostre volute la storia, il capriccio di uno smalto rosso un pomeriggio di
primavera, lo stupore per un riflesso, l’attrazione per lo scintillio dell’oro
(in una statua, in un sandalo, nel fondo di un’iride screziata di fronte a
noi).
E’
nella terra che impastiamo le nostre tensioni e inquietudini, la nostra storia
di umanità (e poi, come soldati, come
eroi feriti chiediamo all’arte e alla bellezza – nostre preziose polverine
d’oro – il compito di trasfigurarci – levitarci- oltre: Dare una forma, proteggerla, e poi tramandarla - storie come quotidiane
pennellate d’oro a è ciò che resta da salvare, per salvarsi.
Le Corbusier, Projet de Musée à croissance
illimitée, 1934
Figura 3. Saul STEINBERG, One end of a series of spirals is being
completed by a man with a pen; he sees a mental image of himself completing the
other end of the spirals (disegno), “The New Yorker” 20, February 1965.
GLI ESSENZIALI:
Le opere di Italo Calvino sono com’è noto raccolte nei
«Meridiani» Mondadori in varie serie. Tutte le edizioni delle Cosmicomiche sono in:
- Romanzi e racconti,
edizione diretta da Claudio Milanini, a cura di Mario Barenghi e Bruno
Falcetto, Milano, Mondadori, 1992, vol. II (siglato RII).
Le Corbusier, “Mundaneum”, L’Architecture vivante, VII, n.
20, primavera-estate 1929, pp. 21-32 ( Traduzione di L. Basso Peressut) ora in
L. Basso Peressut, Il museo moderno. Architettura e museografia da Perret a
Kahn, San Giuliano Milanese, Edizioni Lybra Immagine, 2005, pp. 102-104.
K. Yasunari, Esistenza e Scoperta della bellezza
in K. Yasunari, La danzatrice di Izu, a cura di Giorgio Amitrano.
Traduzione di Gala Maria Follaco e Giorgio Amitrano, Piccola Biblioteca
Adelphi, 2017.
Per la mostra Ritorno al barocco: Fontana, Leoncillo,
Melotti:
https://www.mlfineart.com/exhibitions/30-ritorno-al-barocco-fontana-leoncillo-melotti/